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Signor Tenente – Giorgio Faletti

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Giorgio Faletti è morto e me ne dispiace davvero.

Ero riuscito ad arrivare persino a metà del suo “Io uccido”, scaraventandolo via con viva forza perché lo ritenevo troppo inutilmente truce. Ovviamente mi sono guardato bene dal leggere i suoi romanzi successivi.

Così come ho sempre guardato con debita distanza alla sua canzone-simbolo, quella “Signor Tenente” che arrivò seconda a Sanremo nel 1994, e che oggi viene osannata dall’intero web in onore della memoria del suo autore-interprete.

Se vuoi avere un buon piazzamento a Sanremo, si sa, devi parlare della mamma (da “Son tutte belle le mammme del mondo” a “Portami a ballare”) o della patria (dal grido di “Italia, di terra bella uguale non ce n’è” di Mino Reitano, alla “Vecchia canzone italiana” che cantavano Nilla Pizzi, Mario Merola, Wess, Tony Santagata e compagnia varia, senza dimenticare l’italiano che canta con l’auroradio nella mano destra (plancia estraibile) e dà il buongiorno a Dio e a Maria di Toto Cutugno.

“Signor tenente”, con una certa originalità, si inserisce in questo filone. Del resto, per partecipare a una manifestazione nazional-popolare bisogna proporre un brano altrettanto nazional-popolare. Ed è quello che ha fatto Faletti.

Non era una canzone, quella di Faletti. Era un testo recitato sopra una base musicale. Era quasi un rap ante-litteram. Il sottoposto si rivolge al superiore con tono e linguaggio quasi burocratici. E, anche qui, se c’è qualcosa che ci ricorda il brano è il Catarella di Camilleri. Tutto però cozza contro il tono tragico della circostanza narrata (l’aver appreso della strage di via D’Amelio), il carabiniere viene dipinto come un povero ignorante che non sa iniziare una frase se non ci mette la parola “minchia”. Non c’è molta differenza (se non quella del suddetto pubblico nazional-popolare) tra le forze dell’ordine di Faletti e quelle di Pier Paolo Pasolini, i cui membri erano nati da contadini e sbattuti lontano a svolgere un servizio la cui portata non era chiara a nessuno.
“Minchia”, certo, perché una canzone non poteva cominciare con “Scusi, signor tenente”, o “Senta, signor tenente”, no, ci doveva essere comunque la parola trasgressiva, ma attenzione, “minchia”, non “cazzo” (che ha lo stesso numero di sillabe e anche lo stesso significato), a voler dire che il carabiniere, oltre che sottoposto e ignorante è anche siculo. La quintessenza del luogo comune.
Però il carabiniere dice anche “abbiam montato l’autovelox”, “abbiam saputo di quel fattaccio”, “han fatto a pezzi con l’esplosivo”, dimostrando di essersi inserito molto bene in un hinterland del nord.

“E siamo qui con queste divise che tante volte ci vanno strette specie da quando sono derise da un umorismo di barzellette”. Perché invece farne una macchietta con una canzone che arriva seconda a Sanremo è stato meglio?

Cazzo, signor tenente.


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